Il suo significato
Il corpo è una dimensione importante nella nostra fede. L’incarnazione e la Pasqua hanno dimensione corporea; i sacramenti ci uniscono al mistero di un Dio fattosi carne. Siamo persone fragili, bisognose di cura. La malattia dice la nostra debolezza, il nostro limite. Visitare gli ammalati è prendere sul serio questa dimensione corporea e si trasforma in un gesto di grande amore e tenerezza. Incontrando le persone sofferenti noi incontriamo il volto di Cristo che soffre sulla croce. Chi visita è disposto a dedicare del tempo per l’altro e permette all’altro di sentirsi parte di una comunità che si prende cura di tutti i propri membri. Chi vive nella sofferenza o con qualche disabilità ci annuncia quanto sia preziosa la vita e come questa sia un dono da custodire e vivere ‘alla grande’. Il tempo che dedichiamo per quest’opera plasma il nostro cuore e lo rende sempre più attento al perdono. “Dopo aver sperimentato il perdono ricevuto, tocca a noi permettere che questo circolo di bene non si fermi, ma continui in noi, per essere verso i fratelli segno del Suo amore e della Sua Misericordia”. L’Antico Testamento per indicare la visita al malato usa un termine che significa ‘vedere’. “Andare a vedere il malato, allora, evidenzia che occorre ‘ascoltare’ il malato stesso, lasciare che sia lui a guidare il rapporto, non fare nulla di più di quanto egli consente, attenersi al quadro relazionale che egli presenta”. Per avvicinarci a un ammalato sono necessari compassione, generosità, rispetto ed intelligenza. Occorre offrire una vicinanza per attraversare insieme la malattia e far sentire che non è mai solo. Siamo davanti ad un “maestro” che può insegnarci a vivere meglio ogni giorno. Quanto possiamo imparare dagli ammalati e alla scuola della sofferenza: il valore della vita pur nella fragilità; l’importanza delle relazioni umane. Per questo è importante visitare gli ammalati, incontrarsi con loro, saperli ascoltare. Visitare gli ammalati è una vera arte, che richiede preparazione, serietà, impegno e sensibilità. Non per forza, ma per amore. A volte ci scontriamo con il dolore, la sofferenza innocente: il mistero del male che Gesù non ha svelato, l’ha preso su di sé. Quanti Santi e Beati sono testimoni esemplari di quest’opera di Misericordia; per i malati hanno speso tutta la loro vita, le loro energie, con capacità e fantasia. Qui emerge la dimensione ecclesiale della visita al malato: essa “non è un’opera isolata, un atto individuale, ma espressione del corpo comunitario in cui ogni membro ha cura delle altre membra, specialmente le più deboli”. Per questo la visita al malato può essere intesa come “atto di culto”: è inserirsi nell’atteggiamento evangelico in cui “io vivo grazie all’altro, per l’altro e con l’altro”. Inoltre quest’opera di misericordia ci aiuta a comprendere che i malati hanno nella Chiesa una missione particolare da compiere e una testimonianza da offrire: quella di “rammentare a chi è in salute che ci sono beni essenziali e duraturi da tener presenti”.
Gesti concreti
Può essere un’opera di Misericordia facile da mettere in pratica.
Andare a visitare le persone ammalate, nelle loro abitazioni, negli ospedali e nelle case di riposo.
Significa avere uno sguardo particolare per chi è timido, povero economicamente e socialmente o per chi è incapace di difendersi dalle altre persone.
È non prendere in giro gli altri, non essere cattivi con loro; non escluderli dalle amicizie; prendere le difese degli indifesi.
Accogliere chi ha handicap evidenti o chi e debole psicologicamente: far sentire la nostra amicizia e vicinanza; far cogliere che ci fidiamo di loro e siamo dalla loro parte.
Costruire amicizie con chi è svantaggiato nella vita, spesso non per sua colpa. È la condizione di chi cresce senza regole e valori; di chi ricorre spesso alla violenza, alla falsità, all’ingiustizia.
Cercare di organizzare bene il proprio tempo per trovare la possibilità di trascorrere alcune ore con chi è “diversamente” persona, cercando di fare un po’ da “ala di riserva”.
Provare a stare, sull’esempio di Maria, nella sofferenza nostra e altrui, senza fuggire, senza sentirsi inadeguati perché non troviamo risposte o non abbiamo parole di consolazione: semplicemente sostare a fianco di chi soffre.
Interrogarsi sullo stile di accoglienza verso quanti sono diversi: quello che abbiamo personalmente e che ha la nostra comunità. Cerchiamo di scoprire quali sono le resistenze, quali i pregiudizi, quali gli ostacoli, per poi smussarli o smontarli.
Permettere a chi non può partecipare alla Messa, perché ammalato, di ricevere ugualmente l’Eucaristia, tramite i “ministri straordinari”.
Ricordare che quando c’è un malato è importante chiamare un sacerdote, perché con l’unzione degli infermi, Cristo arrivi per sollevarlo, per dargli forza, speranza.
A cura di Alessandro Maffiolini