E il padre, in silenzio, lo abbracciò
Lc 15,1-3.11-32
Una parabola ben conosciuta quella del padre misericordioso. Ancora una volta Gesù tenterà di rompere gli schemi ‘mortificanti’ di una certa interpretazione del Vangelo, per immergerci nella Sua verità. In effetti la “buona notizia” non è assimilabile né ad un codice etico, né ad una costruzione dottrinale: non pretende né di ‘raddrizzarci’, né di costringere la nostra intelligenza, ma vuole soltanto offrirci una verità, quella Verità che rende liberi (Gv 8,32).
Ma che cos’è questa verità?Credo proprio la figura del padre misericordioso che ce ne offra una ‘raffigurazione plastica’.In quell’attendere perseverante, in quel correre precipitoso, non recriminare, abbracciare, in quella gioia senza ritegno sta tutta una sapienza relazionale che vuole mettere l’altro nella condizione di gettare, forse per la prima volta, uno sguardo ‘intelligente’ su se stesso, quindi su Dio, gli altri e tutte le cose.Se, infatti, l’esercizio della libertà è potenzialmente nocivo, lo è certamente anche il volerla costringere e limitare. Perché l’affermarsi del Bene non dipenderà mai dalla semplice esecuzione di un comando e nemmeno dal ricatto di insaziabili sensi di colpa, ma sempre e solo da un diverso modo di ri-conoscere se stessi. È interessante notare che il figlio minore non se ne va di casa per sottrarsi al potere dispotico del padre, ma perché semplicemente ha deciso così.
Tuttavia – e qui sta il paradosso, il capovolgimento salvifico – se da un padre così ci si può sempre allontanare, per un padre così si può sempre fare ritorno. Da un padre non così, invece, è difficile se non impossibile allontanarsi, ma quando uno, con fatica e sofferenza, ci riesce, non torna più. L’amore vero, infatti, permette sempre il ritorno perché, più radicalmente, permette sempre il distacco. Con la Sua apparente arrendevolezza, con la Sua discrezione, Dio si è manifestato come Colui che offre relazioni senza imporle e non le impone: apre spazi, ma non per occuparli; interpella, ma senza esigere risposte.
“In definitiva – ha scritto il teologo francese Xavier Thévenot – il Dio discreto è un Dio che cammina con noi invece di esigere che ci prostriamo davanti a Lui (come invece fa il diavolo in Lc 4,7); che si intrattiene con noi invece di ammaliarci; che ci mette in discussione invece di approvare tutto; che ci spiega la Sua Parola invece di chiudersi in un immenso e altero silenzio; che permette ai nostri occhi di aprirsi invece di accecarli con il Suo splendore; che ci separa da Lui per aprirci agli altri, invece di pretendere di essere Lui solo a bastare. Un tale Dio fa vivere!”.
Perdersi, giocarsi, rischiare, non esigere, attendere non sono altro che variabili ‘linguistiche’ dell’amore di relazione. Ed è proprio la rivelazione cristiana, precisamente la rivelazione di Gesù, ad indicare che questo modo di ‘atteggiarsi’ appartiene alla natura delle cose buone, precisamente dei rapporti buoni, perché appartiene originariamente alla natura di Dio.
Padre Massimo Casaro