La Parola di Dio che abbiamo ascoltato domenica scorsa ci fa un chiaro invito a decidere la nostra identità di cristiani. Chi vogliamo essere? Siamo invitati a un cammino serio di conversione per non accontentarci di una visione addomesticata e addolcita della realtà. Abbiamo bisogno di acquisire uno sguardo capace di cogliere le contraddizioni che sono attorno a noi e che per diverse persone spesso diventano realtà normali e non più capaci di suscitare indignazione e desiderio di cambiamento. Solo così si ha la possibilità di stare accanto a quanti subiscono tali ingiustizie, di vivere con loro e avere la forza di denunciarle in modo deciso e chiaro. Siamo sinceri: nemmeno l’intervento sociale meglio concepito, progettato nel chiuso di qualche circolo accademico, laico o religioso, potrebbe fare i conti con le ferite più profonde che ognuno si porta dentro. La Chiesa e ogni singola comunità cristiana possono rendersi conto del cammino difficile di molta gente e della sofferenza di una notevole parte dell’umanità. Una Chiesa capace di portare una Parola liberatrice e incoraggiante, che non è sua ma appartiene al Vangelo: essa diventa Parola di consolazione e di forza.
La particolarità di questa riflessione consiste nel fatto che la Parola è tale nella misura in cui si traduce in gesti concreti da fare a persone reali incontrate sulla propria strada. Farsi prossimi, inoltre, ha bisogno di una certa fantasia spirituale e materiale per realizzare un aiuto il più vicino possibile alle persone in difficoltà. Questo, spesso, manca ai cristiani e ai ministri della carità; si è più preoccupati di salvaguardare il proprio ambito che a garantire un soccorso reale alle persone, anche quando esso richiede una collaborazione con altri e non implica un ritorno d’immagine e di applausi. Dobbiamo dircelo con franchezza: prima di essere persone che agiscono, dobbiamo essere cristiani che lodano Dio, ne riconoscono il primato assoluto ed entrano in comunione profonda con Lui attraverso i sacramenti. Non esiste altra strada possibile per testimoniare in quanto facciamo la Sua presenza e la preminenza della Sua Provvidenza che si manifesta nell’avvicinamento dei battezzati a quanti hanno bisogno di aiuto.
Preferire unicamente il fare pratico, come una certa cultura vuole imporre, significa in modo inequivocabile svuotarlo “delle sue profonde motivazioni cristiane e dimenticare il fare del cuore”. Diventiamo, a poco a poco, persone sprovviste di quello spirito di accoglienza e di amore che permette di entrare in relazione con gli altri e soccorrerli nei loro reali bisogni: diventa un ‘fare’ fine a se stesso e appagante solo del proprio egoismo. Infatti, il Papa nel messaggio per la Quaresima 2017 ci ricorda che il povero alla porta del ricco “non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita”.
La Quaresima allora si trasforma in un tempo necessario per non avere paura e aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita a quanti hanno bisogno del nostro aiuto. Essere vicini alle persone e aiutarle, è un dono che Dio fa perché la nostra vita possa essere più vera e più gioiosa: gli altri sono l’occasione per indicare chi vogliamo essere nella vita e per chi vale la penna dare tutto se stessi. Infine è importante manifestare la vicinanza della Chiesa e della Comunità: è l’occasione per far risplendere sempre di più la luce dell’amore e narrare a tutti “quelle opere belle, che rivelano agli uomini del nostro tempo il volto d’amore del Padre”.
Alessandro Maffiolini