All’ottava votazione, dopo sei giorni, Sergio Mattarella è stato rieletto Presidente della Repubblica Italiana. Sette votazioni sono andate a vuoto: ai meno addetti ai lavori sembrava che il Parlamento (o forse meglio i segretari dei partiti) non sapessero di aver il compito di eleggere il Presidente della Repubblica, nonostante la convocazione effettuata e la scadenza costituzionale della carica. A qualcosa sono comunque servite: certificare la debolezza dei partiti, divisi nelle coalizioni e al loro interno, chiarire la debolezza di leader che non tengono i loro gruppi. E il frutto di tutto questo è la svolta maturata nelle trattative per l’elezione del presidente della Repubblica: dopo la settima votazione, la decisione di andare al Quirinale per chiedere a Sergio Mattarella di concedere quel bis al quale tante volte pubblicamente si era sottratto. Elemento ancora più strano: da quanto emerge, a chiedere la disponibilità sono andati i capo gruppi parlamentari e non i segretari politici. Dovremmo riflettere anche su questo. I leader di partito escono depotenziati nel loro ruolo, considerato con sospetto dai gruppi parlamentari e vissuto dal corpo sociale con disillusione e desolazione. L’elezione di Sergio Mattarella è avvenuta “grazie a un colpo di frusta dei parlamentari, che in ogni votazione l’hanno votato al di là delle indicazioni dei partiti”. Qualcuno paga il prezzo dei loro azzardi. Altri sembrano rimanere maestri in tattica ma una visione parziale. Altri sono schiacciati tra le correnti interne del partito e le ambiguità degli alleati. “È per questo che la scelta di Mattarella non costituisce per il mondo politico un passo avanti, ma solo la garanzia dello status quo e (dal loro punto di vista) il male minore”. Infatti, troppi nomi autorevoli sono stati bruciati: è sempre accaduto. In questa elezione ai più sembra la scelta di sfruttarne i nomi per testare equilibri politici e per trovare un accordo che circa la fine della legislatura, il governo, le riforme che mancano e così via. Un segnale di essere davanti a un’elezione speciale si è visto in alcuni nomi eccellenti che “non sono stati considerati candidati politici perché non sono mai stati personaggi partitici”. Bifronte ai grandi e molteplici problemi che il nostro amato paese deve affrontare immediatamente (sanità, scuola, pensioni, lavoro, riforme…), si sono posti davanti, ancora per l’ennesima volta, la sussistenza e il potere che i partiti o parti di essi hanno nel controllare e dirigere la politica. “La più grande forma di carità”, come la chiamava Paolo VI, è stata ridotta a un tornaconto personale e a essere irrilevante nelle decisioni per aiutare il Paese a crescere: è mancato proprio il senso dello stato. E mentre tutto questo accadeva, crescevano i consensi dei grandi elettori proprio nei confronti del capo dello Stato. Si è chiusa così una delle vicende meno edificanti della recente storia politica e istituzionale del Paese. “Una vicenda che ha visto il sistema dei partiti paralizzato e incapace di trovare un’intesa non solo su un nome condivisibile, ma anche su un metodo per arrivare a un’intesa”. Dopo questa elezione, chiediamoci quanta stima, fiducia può esserci in questi partiti a livello sia a nazionale sia locale. In ogni caso, la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica è una splendida notizia per gli italiani, molto meno per i partiti politici e i loro leader. È necessario ripartire immediatamente e non fermarsi: lo chiediamo a tutti e anche a ciascuno di noi.
don Alessandro Maffiolini