Iniziare un nuovo anno non è mai una cosa da poco. Porta in sé una valutazione di quanto fatto nei mesi precedenti e si trasforma nella speranza che il futuro possa essere migliore perché le persone crescono e diventano migliori. La Chiesa nella sua sapienza ci ripresenta tutti gli avvenimenti della vita di Gesù perché rivivendoli nell’oggi della nostra esistenza abbiamo la possibilità di interiorizzarli maggiormente e renderli concreti nelle nostre scelte quotidiane. Questo nuovo anno in cui saremo accompagnati dal Vangelo di Marco è un invito a essere “irreprensibili nella venuta del Signore”. L’Avvento è allora non un punto nel futuro, non una speranza in ‘qualcosa che potrà accadere’. È un luogo spirituale in cui possiamo camminare nel presente e nel quale essere con decisione custodi delle diverse dimensioni che compongono l’essere umano. In effetti è proprio questo che noi viviamo nella Liturgia: celebrando i tempi liturgici, attualizziamo la venuta del Signore “in modo tale da poter, per così dire, camminare in essa verso la sua piena realizzazione, alla fine dei tempi”. In questo modo abbiamo la possibilità di trasformarci in battezzati coerenti e capaci di portare il Vangelo e la persona di Gesù a quanti incontriamo. Per la verità rimane la speranza: l’Avvento che iniziamo è per definizione evidente la stagione spirituale della speranza. La Chiesa intera, ogni comunità, ogni battezzato, ogni credente è chiamato a diventare speranza, per sé e per il mondo intero. In tutto quanto mettiamo in pratica, dobbiamo assumere, per così dire, “il colore della speranza”.
Il Dio annunciato da Gesù è un Dio che viene fino a noi, elimina la distanza che l’umanità ha posto e innalzato e dona speranza per offrire al popolo la capacità di camminare verso la vera luce che illumina l’universo e risplende in ogni situazione. Nella sua prima venuta Gesù mostra un Dio che desidera condividere pienamente la nostra condizione umana. In queste quattro settimane abbiamo la possibilità di rivivere un cammino che permette, passo dopo passo, di arrivare a incontrare Gesù. “Il grido di speranza dell’Avvento esprime allora, fin dall’inizio e nel modo più forte, tutta la gravità del nostro stato, il nostro estremo bisogno di salvezza”. Siamo chiamati ad arrivare a Natale per aspettare un Signore non “alla stregua di una bella decorazione” su di un mondo già salvo o che cammina nella direzione opposta, ma come unica via di speranza e di libertà. Anche in questo nuovo anno sarà possibile far risuonare il grido di Giovanni Battista che richiama alla giustizia e alla coerenza: resistere al male e alle tentazioni, aprire le porte della propria vita ai fratelli, accogliere e soccorrere i poveri e chi ha perso la dignità umana. Non pensiamo che debbano essere gli altri ad agire: se non facciamo noi stessi qualcosa per primi, nessuno potrà agire al nostro posto e il Natale rischierà di essere una serie di decorazioni, anche belle, da tirare fuori dalle scatole, ma che rimangono tali e senza vita. Alziamo il nostro sguardo e rivolgiamo il cuore a Lui. “Mettiamo la nostra mano nella Sua ed entriamo con gioia in questo nuovo tempo di grazia che Dio regala alla Sua Chiesa, per il bene dell’intera umanità”. Solo così il Dio della pace ci santificherà in modo pieno e saremo strumenti e segni di speranza per ogni persona. Non saremo più ‘statue’ del presepe, ma cristiani vivi e operatori di amore.
Alessandro Maffiolini