La nostra vita è diventata una grande attesa sotto diversi aspetti. Per molti, oggi la speranza è che il flagello del CoVid19 passi al più presto, così da poter riprendere una vita “normale”, senza paure e distanziamenti, senza bollettini giornalieri di contagiati e di morti. “Peggio di questa crisi – ha affermato il Papa nell’omelia di Pentecoste del maggio 2020 -, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. Il virus e le sue conseguenze sono certo un male, da cui tutti vorremmo uscire. Non imparare niente da quanto abbiamo vissuto, sarebbe però il modo peggiore di uscirne.
Ci siamo ritrovati tutti più fragili, indifesi e pieni di dubbi e incertezze. Anche il rifiuto ostinato del vaccino da parte di alcuni riflette la convinzione che “le evidenze scientifiche, comprovate dai risultati, nulla valgano di fronte alla presunzione di fare da soli nello sfidare l’assalto del male”. Molto orgoglio è presente nel mondo di oggi: iniziative fai-da-te per affrontare i pericoli, pensare di escludere parte della popolazione del mondo dai vaccini e dai benefici della scienza e della ricchezza. Questo sino ad arrivare alla pretesa di chiudere i confini degli stati per lasciar fuori quanti potrebbero “far dispiacere e disturbare” la nostra vita.
Dio non è il “tappabuchi” che interviene magicamente o che invochiamo quando siamo con l’acqua alla gola: è il Dio che mette se stesso nelle nostre mani e che ha un amore sconfinato verso di noi. Il Dio con noi non abbandonerà mai i Suoi figli: “A chiunque lo invochi con fede Egli darà l’aiuto necessario a vivere con dignità e amore la propria vita e ad affrontare con speranza e fede anche la malattia e la morte, quando essa arriverà”. Speranza oggi nel 2021 significa fare esercizi di fede e di preghiera fiduciosa, mettendo noi stessi nelle braccia di Dio. Ecco il bello di essere amici di Dio, suoi confidenti e attingere al pozzo inesauribile della Parola e della grazia dei sacramenti. La speranza che nasce dal Vangelo, afferma il Papa, “non consiste nell’aspettare passivamente che un domani le cose vadano meglio, questo non è possibile, ma nel rendere oggi concreta la promessa di salvezza di Dio”. Abbiamo allora la speranza, in altre parole la certezza della necessità di porre gesti e proclamare parole che producono una crescita concreta all’interno di una comunità cristiana che ha Dio come suo centro.
Ecco perché il vero amore e il mondo creato da Dio “non hanno confini”. Andiamo a testa alta per non rimanere chiusi in visioni, sguardi e decisioni di corto respiro e comode solo per noi. All’umanità intera, specialmente a noi cristiani, il bellissimo compito di organizzare la speranza, cioè di tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico. Cristiani con le opere di carità, comunità parrocchiali che non si dividono e non combattono tra se, cristiani accoglienti e uniti… non mettono se stessi in mostra. Organizzano la speranza. Questa è una dinamica che oggi ci chiede la Chiesa.
Il mio augurio è che i prossimi quindici giorni di Avvento siano per noi un tempo fecondo per organizzare la speranza, accogliendo Dio che viene tra noi e mostrandone sempre più con la nostra vita la bontà e la tenerezza per tutti. “Coraggio, il Signore è vicino, anche per te c’è un’estate che spunta nel cuore dell’inverno. Anche dal tuo dolore può risorgere speranza”.
don Alessandro Maffiolini