Parlare di civiltà è questione complessa. Semplificando possiamo affermare come in senso ampio “civiltà” esprima le caratteristiche di un popolo in un determinato periodo storico. Inoltre è fuori dubbio che ogni società sia formata da individui e che per migliorare il livello di civiltà sia necessario migliorare gli individui stessi. Se questi ultimi non cambiano la propria vita e il modo di pensare, il paese di cui fanno parte non può progredire nella civiltà. Questa nell’uso comune è poi sinonimo di progresso, “per indicare da un lato l’insieme delle conquiste dell’uomo sulla natura, dall’altro un certo grado di perfezione nell’ordinamento sociale, nelle istituzioni, in tutto ciò che, nella vita di un popolo o di una società, è suscettibile di miglioramento”. Infine potrebbe significare cortesia, buona educazione. Per il Vangelo essere un paese civile equivale a essere accogliente non solo verso lo straniero, ma verso l’altro proprio perché altro da me. Esso irrompe con la sua diversità nella vita quotidiana e impone sempre un confronto, un dialogo serrato e autentico, capace di mettere in discussione entrambi i dialoganti. È anche una verifica forte della nostra identità, perché ogni persona diversa dai nostri schemi mentali di normalità, alla fine ci rivela “la parte di straniero che è in ciascuno di noi, aprendoci così alla conoscenza di noi stessi e di Dio che si rivela come l’Altro per eccellenza, il Totalmente Altro”.
Il primo forestiero è proprio Dio: quante persone e quante nazioni “civili” l’hanno espulso dai propri criteri o regole per un’idea falsa di libertà e non si sono accorte di entrare in una spirale di egoismo in cui l’unica regola è quanto loro pensano e ritengono importante. Rimane sempre una civiltà, ma chiusa in se stessa, incapace di aprirsi all’altro, pronta a costruire muri e, a poco a poco, a scomparire dalla faccia della Terra. Il primo passo per iniziare a stare meglio con noi stessi e con le persone è il riconoscere l’urgenza di accogliere l’altro nella vita: in questo modo s’inizia ad acquisire la capacità di comunicare sia sul piano teorico sia su quello esperienziale e s’intraprende la via per cambiare se stessi e allo stesso tempo iniziare a modificare la società di cui si fa parte. È facile pensare in questo modo. Altrettanto facile può essere metterlo in pratica per un cristiano, soprattutto quando si parla di amore, un termine che per il Vangelo è centrale. “Il vero amore difficilmente riesce ad essere definito ed espresso a parole”. Tuttavia, anche tra i cristiani sorgono difficoltà nel momento in cui sono chiamati a mettere in pratica questo amore verso le altre persone. A volte sembra una parola lontana e un’esperienza difficile da sostenere, nonostante un Dio fatto uomo abbia mostrato concretamente la strada da percorrere. Proprio Gesù di Nazaret ci dice che l’amore non è fatto di parole, ma di fatti concreti. “Il fratello affamato non chiede tanto o solo di ricevere un pezzo di pane ma chiede di stabilire anche un legame umano, quello che passa attraverso il riconoscimento di una reciprocità che ha bisogno di farsi intendere e di essere intensa”. Essere un popolo civile non è facile; spesso ci si dimentica di esserlo soprattutto di fronte a ciò che è scomodo o rompe la nostra tranquillità. Noi cristiani impegniamoci a “cambiare il cuore, cambiare la vita e cambiare l’appartenenza: mai appartenere alla mondanità, allo spirito del mondo, alle stupidaggini del mondo, soltanto al Signore”.
Alessandro Maffiolini