Il suo significato
Siamo arrivati ad un’Opera di Misericordia che si presenta come una missione impossibile, se riuscissimo a essere onesti con noi stessi. Questo perché se ci lasciassimo condurre dall’istinto e dalla spontaneità, la legge che ci guiderebbe sarebbe quella ‘del taglione’, il famoso “Occhio per occhio, dente per dente”. Dopo 2000 anni di Cristianesimo e di annuncio del Vangelo, anche quanti si professano cristiani si trovano a ragionare e ad agire in una prospettiva in cui ciò che governa è la vendetta e non il perdono. Lo stesso modo di pensare alla giustizia porta ad interpretarla in termini retributivi piuttosto che in senso riabilitativo. Quante volte, di fronte a crimini feroci ci scopriamo a pensare che certi delinquenti dovrebbero essere rinchiusi in carcere e poi via la chiave, oppure condannati a morte, senza che alcuna possibilità di redenzione sia concessa. Tutto il Vangelo e la vita di Gesù sono stati un remare contro questo modo di pensare. Il cristiano è chiamato a essere misericordioso come il Padre: Dio diventa il modello da seguire in ogni scelta.
Il perdono non è un condono, ma l’espressione più alta del dono di sé: è un antidoto al rancore e un integratore della correzione fraterna. La forza rinnovatrice del perdono disarma l’istinto di vendetta che si nasconde persino dietro il desiderio di fare giustizia. Non è un sentimento, un “mi sento”, ma una decisione che ha i suoi tempi di maturazione e un rigoroso cammino: fare pace con le ferite proprie e altrui, chiamare il male per nome, vederlo in sé oltre che fuori, lasciare a Dio il giudizio ultimo su ciò che non si può accettare, concedere a chi ha sbagliato nuove possibilità e gli strumenti necessari per cambiare.
È il ricordo del torto subìto che apre la via al perdono nella misura in cui elabora il senso del male provato: gli esseri umani non sono, infatti, responsabili dell’esistenza del male o di averlo subito ingiustamente, ma sono responsabili di ciò che fanno. Il perdono agisce su ciò che non è giustificabile; non attenua la responsabilità; non toglie il male subìto, ma lo assume e crea le premesse di una rigenerazione di relazioni tra le persone. Non siamo davanti ad un’opera di dimenticanza, ma di guarigione della memoria e di libertà da un risentimento che può bloccare la nostra vita nel passato. La fede cristiana addirittura invita a fare in modo che il perdono si estenda fino al piano sociale e politico e diventi via di riconciliazione tra i popoli, superando i conflitti esistenti. Essere perdonati significa scoprirsi amati nel proprio odio. Il perdono precede e fonda il pentimento e quest’ultimo potrà sorgere solo dalla presa di coscienza che tale amore unilaterale, gratuito e incondizionato, precede ogni nostro merito. Il battezzato guarda con compassione e misericordia chi l’ha offeso, riconoscendo di essere peccatore a sua volta e bisognoso della Misericordia di Dio e dei fratelli. Perdonare diventa quindi incontro con il Signore Gesù e scelta di vivere un rapporto positivo nei confronti di chi ci offende: solo così può crearsi la nuova civiltà dell’amore nata dalla Morte e Risurrezione di Cristo.
Gesti concreti
Ricordare che nessuno è esente dal peccato e che occorre aiutare anche i bambini a perdonare già da piccoli.
Il vero perdono riguarda le cose importanti. Troppo spesso associamo il perdono ad errori e colpe, tutto sommato lievi. Il vero perdono avviene quando è successo qualcosa di realmente grave e sconvolgente senza un motivo valido.
Il vero perdono non nasconde la verità: riconosce che è stato commesso un errore, ma afferma che la persona che l’ha commesso merita comunque di essere amata e rispettata.
Perdonare non vuol dire giustificare un comportamento: lo sbaglio rimane tale. L’altro ha il compito di riparare l’errore, almeno di non ripeterlo più e di mostrare la volontà concreta di ricostruire o ricominciare.
Ricordare sempre che “l’arma vincente” è il perdono. Esso libera da un enorme peso, permette di risolvere situazioni problematiche e di salvare rapporti destinati alla rottura; può riportare serenità in famiglia.
Non avere mai paura di usare alcune semplici parole: “Ti perdono”, “Ricuciamo la nostra amicizia”, “Tu sei importante per me”, “Scusami”.
Tenere presente che spesso molte cose nascono da superficialità, mancanza di riflessione, poca intelligenza, chiusura in se stessi, ignoranza, disinteresse per gli altri.
Non dimenticarsi mai che il vero perdono nasce dall’alto: solo chi si sente perdonato acquista la capacità di perdonare a sua volta. Solo se mi accosto al sacramento della Riconciliazione, posso concedere a mia volta il perdono alle altre persone.
Lavorare su noi stessi per smussare il nostro orgoglio, l’invidia, l’incapacità di rielaborare le offese. Riconoscere che il male subito ci rende diversi, più vulnerabili.
Essenziale nel cammino di guarigione è il poter condividere con qualcuno la nostra sofferenza: poterla condividere e raccontare a qualcuno che ci vuole bene e può consigliarci è un passo importante per riprendere una vita felice e compassionevole.
A cura di Alessandro Maffiolini