Usare la parola del titolo può sembrare banale, ma si tratta dell’essenza della fede cristiana: in Cristo siamo tutti fratelli e sorelle. Abbiamo un unico Padre che è nei cieli. Queste poche parole dovrebbero portare ogni cristiano a convertirsi: è la via indispensabile per ascoltare il grido dei poveri che invocano il nostro aiuto. La parola del Vangelo e lo Spirito Santo ci portano a un cambiamento autentico, fatto non per egocentrismo o per il desiderio di conservare il sistema che assicura ricchezze e stabilità sociale. Un primo frutto della conversione a Dio è l’ascolto della voce dei poveri. È necessaria un’attenzione forte all’informazione: solo se si riesce a darne una valutazione critica, essa è necessaria per ascoltare coloro che nessuno ascolta, per comprendere quello che sta succedendo, per “riconoscere le ingiustizie che girano per il mondo, talora mascherate di buoni sentimenti e di provvedimenti intelligenti”. Nel mondo di oggi in cui le informazioni sono controllate, indirizzate all’aumento del potere dei potenti e delle vendite dei prodotti, l’esercizio del pensiero e la pratica del confronto sono attenzioni che predispongono a una carità intelligente. Questa dovrebbe costituire la pratica della carità intelligente propria di ogni Caritas parrocchiale: è la sapienza della carità. Infatti, è “La carità che stabilisce relazioni prima che donazioni, che nel soccorrere riabilita, che risponde al grido non per tacitarlo con l’elemosina, ma per chiamare colui che grida perché sia salvato. Inoltre queste caratteristiche permettono a ogni battezzato di assumere un volto profetico, cioè il diventare persone che protestano contro l’ingiustizia, il lusso sfacciato, la prepotenza dei forti sui deboli (quante volte accade anche nella Chiesa e nelle comunità). È essere capaci e denunciare tutto quanto non è evangelico anche se commesso da potenti o dall’autorità. Dare speranza al povero è anzitutto fargli capire che non è dimenticato, che non è un’ombra, ma una persona da accogliere, da incontrare, da conoscere. Non c’è peggior povertà che essere ai margini, essere resi quasi invisibili. “Povero non è soltanto chi non ha da mangiare o chi vive per la strada, povero è soprattutto chi vive ai margini, chi non ha relazioni, non ha amicizie, chi vive in situazioni di disagio”. Probabilmente incontriamo ogni giorno persone che non hanno da mangiare, che sono stranieri, che vestono male, che puzzano, che non sanno la nostra lingua, che non lavorano, che vivono per strada e per qualcuno sono la causa di ogni male possibile. In molti casi, di queste persone, ci si accorge poco e interessano poco fino a quando qualche mass media non ci tempesta di notizie. La povertà allora è generata anche dal nostro disinteresse. Un esercizio utile, è cercare di cogliere i sentimenti di queste persone, tentando di mettersi nei panni dell’altro, domandandoci e cerchiamo di trovare insieme delle vie per far emergere queste povertà e per affrontarle seriamente. È molto più facile e comodo far finta di niente. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si accorga di noi e costruisca una relazione con noi, ci ascolti nel disagio, nella fatica, nella sofferenza; questo evita di rinchiudersi e isolarsi dagli altri e dalla società. Un’ultima “battuta”. La povertà si vince anche cercando di fare rete, mettendo a disposizione i talenti che a ciascuno di noi sono stati affidati, per stare accanto alle persone e considerarle degne di stima. “La comunità parrocchiale inoltre può pregare per i poveri: non è una perdita di tempo, ma un modo per affidarli alla bontà del Signore, alla sua custodia. Perché Dio non si dimentica mai dei suoi poveri”. Senza paura, rimettiamoci in cammino, mostrando al mondo il volto autentico di battezzati che odorano di Vangelo.
don Alessandro Maffiolini