Il suo significato
La tradizione biblica rileva con forza che, nel caso in cui ci siano fratelli irritanti, “il paziente vale più di un eroe, chi domina se stesso val più di chi conquista una città”. Giobbe è l’esempio dell’uomo paziente, integro e retto che, colpito da un gravissimo lutto, continua ad avere fiducia in Dio e a non lamentarsi di Lui. La pazienza di Giobbe si trasforma in espressione della Misericordia del Signore: essa è un’arte che abilita a instaurare relazioni con ogni persona e a riflettere su noi stessi per scoprire quanto possiamo essere fastidiosi e insopportabili. Quest’opera evoca, quindi, il circolo abituale della coesistenza nella comunità cristiana e la capacità di resistere alla prova. Sopportare pazientemente le persone moleste, perdonare le offese ricevute. Si tratta sempre e comunque del ricondursi all’atteggiamento proprio del Dio cristiano, il quale si fa compagno dell’umanità, condividendo il nostro limite e indicandoci la misericordia come possibilità a nostra volta di adeguarci a Lui. Dio è amore: per questo Egli si spinge attivamente verso le Sue creature e chiede che mettano in atto le Sue stesse norme nel relazionarsi con gli altri. Sopportare le persone moleste e perdonare le offese ricevute non sono, dunque, un optional per il battezzato.
Il molesto non è semplicemente un interlocutore disturbante o chi la pensa diversamente: è chi diventa persecutore, spina nel fianco, presenza non tollerabile che deteriora la qualità della vita. La tentazione sarebbe di prendere una direzione opposta, di fuggire, anche se molte volte ciò diventa impossibile. L’altro spesso diventa torturatore e in gioco entra la sua salvezza: con il suo agire rende chiaro il proprio bisogno di domande di senso. A fare la differenza, per il cristiano, è la “pazienza”, la catena solidale del partecipare con l’altro del suo dolore per aiutarlo a sconfiggerlo. Siamo chiamati a guardare a Gesù per cercare di imitarlo: la pazienza è allora uno dei frutti dello Spirito Santo, matura nella prova, crea costanza e una speranza che non delude. A questo punto entra in scena il perdono. Infatti, sopportare pazientemente le persone moleste implica anche la necessità di oltrepassare il fastidio, il danno, l’offesa arrecata e risanarla, indipendentemente dalla persona che ci ha offeso.
Diverse volte però è più facile la violazione della regola evangelica. È rinunciare alla contropartita, alla restituzione dell’offesa: è la capacità di rapportarsi e di accogliere l’altro come fratello e sorella. Concretamente è un invito ad accettare quelle persone che ci recano disturbo con il loro modo di essere, di relazionarsi e di pensare. È il non porre condizioni nella relazione e permettere all’altro di essere se stesso, senza avere la pretesa di cambiarlo e salvando il rapporto: è una vera azione eroica. Significa andare oltre i limiti delle altre persone. Con questa misericordia nel cuore si può anche cercare di aiutare gli altri a migliorarsi perché siano più contenti loro e chi vi sta accanto. Quest’opera di Misericordia garantisce un futuro migliore, perché anticipa un mondo liberato dalla violenza e dalle apparenze.
Gesti concreti
Chiederci sempre il motivo per cui una persona è molesta e ci dà fastidio averla vicino.
Trovare il tempo necessario per ascoltare le richieste degli altri e per rispondere.
Metterci nei panni di Dio e pensare a quanto il nostro comportamento ci infastidirebbe e ci impazientirebbe; ma per fortuna Dio è molto diverso da noi e prova amore verso ciascuno di noi.
Non rifiutare mai l’altra persona; non chiudiamola fuori dalla nostra vita difendendoci da lei, ma accogliamola anche con i limiti della sua umanità.
Domandarci sempre se è l’altra persona che ci molesta perché torna sempre a rivolgerci la stessa richiesta o se siamo noi che non apriamo sufficientemente il nostro cuore.
Ricordarci che quando non vogliamo sentire ragioni e condanniamo le persone perché alterano la nostra normale routine, con probabilità siamo noi ad essere diventati molestatori.
Davanti a certe scelte che la società civile e il mondo ci invitano a fare, occorre mettere al centro il Vangelo perché diventi il vero criterio di discernimento e di valutazione.
Dobbiamo rallentare la frenesia del mondo portando l’esempio cristiano della capacità dell’attesa e di chi vuole dare il giusto valore al tempo.
Non dimenticarsi mai che il “male” mette fretta, ci fa credere di perdere delle possibilità se non ‘ci muoviamo’; ci illude di dover trovare rapidamente le risposte. Non vuole farci pensare, ma vivere istintivamente. Ci porta fuori da noi stessi.
Uno strumento, tanto semplice quanto efficace, per aiutarci a discernere e a pazientare è la preghiera.
I sacramenti sono messi accanto a noi per entrare in relazione con Cristo e assumere i Suoi stessi atteggiamenti e modi di pensare. Più ci allontaniamo dall’Eucaristia e dalla confessione, meno diventiamo capaci di sopportazione.
A cura di Alessandro Maffiolini