Il tempo della pandemia ha comunque evidenziato che l’ambiguità delle giovani generazioni è data dagli intrecci della vita quotidiana di cui il giovane è soggetto. Anche nel lockdown abbiamo visto, come a poco a poco, i giovani hanno ritagliato spazi propri distanti dai genitori e dagli adulti: è lo spazio del tempo libero, dello stare, delle amicizie, dello svago, dell’attesa indefinita, del silenzio, della ricerca, del girovagare, del rispondere alle convocazioni, del trovare nuovi modi per far in sì che tutto sia quasi come prima. Queste riflessioni si sono fatte più urgenti durante il periodo di confinamento dovuto all’emergenza sanitaria, che ha visto numerosi ambiti della nostra vita “trasferirsi” online. Tra questi penso in modo particolare alla scuola, con l’introduzione della didattica a distanza e con la ridefinizione del tipo di proposta offerta agli alunni. Nessuno può prevedere oggi quale sarà, nel futuro immediato, l’impatto della tecnologia sull’insegnamento e sulle altre attività con i ragazzi, i giovani e gli adulti. Gli strumenti informatici non rappresentano solo un problema, ma una grande opportunità. Tuttavia il loro utilizzo deve essere accompagnato e modulato dentro un cammino che non può prescindere dall’educazione del pensiero e della parola, della lettura e della scrittura. In questi nuovi spazi aperti si sono anche insinuate situazioni un poco al limite, in cui si cercava di trovare un senso a quanto accadeva e una “speranza” di felicità. Anche l’uso di alcune app particolari indica questa direzione. Pensiamo solo a TikTok, un nuovo social media, un’app da scaricare sul proprio cellulare che sta spopolando soprattutto tra i minorenni giovanissimi e tra le mamme. Riflettiamo su quello che può far fare ai nostri figli. Siamo chiamati allora ad assumere alcune categorie interpretative, che aiutino a conoscere e a comprendere le domande di sempre dei giovani, ma anche le loro nuove culture, i linguaggi sempre più variegati e gli strumenti con cui si esprimono. Questo permette al mondo degli adulti e degli educatori di conoscere, almeno in parte, forme e modalità spesso di non facile interpretazione. Evitiamo sempre gli atteggiamenti di rifiuto: superiamo i confini abituali dell’azione pastorale, per esplorare i luoghi, anche i più impensati, dove “i giovani vivono, si ritrovano, danno espressione alla propria originalità, dicono le loro attese e formulano i loro sogni”; dall’altra esigono uno sforzo di personalizzazione, che “faccia uscire ogni giovane dall’anonimato delle masse e lo faccia sentire persona ascoltata e accolta per se stessa, come un valore irripetibile”. Gli esperti invitano a promuovere interventi per dar voce e visibilità alle giovani generazioni, combattendo così un orizzonte che si annuncia cupo e con poche prospettive. “Occorre creare e dare visibilità a occasioni capaci di ispirare e responsabilizzare gli studenti di tutte le età affinché contribuiscano alla creazione di un futuro migliore e più a loro misura, per renderli capaci di invertire quel senso di “inutilità” sperimentato in questo periodo di emergenza”. Gli adulti e gli educatori hanno la missione di contrastare la povertà che è aumentata, partendo proprio da quella educativa, “arginando così il circolo vizioso che muove da quella materiale a quella delle opportunità di crescita, favorendo il protagonismo dei giovani e il consolidamento di una comunità educante che attivi percorsi di cittadinanza attiva per ascoltare, accogliere, sostenere nella pratica quotidiana la ostruzione del futuro delle nuove generazioni”. Inoltre La povertà educativa odierna è generata anche da una comunità che non è in grado di insegnare valori umani fondamentali quali l’accettazione delle diversità, l’integrazione sociale, la tolleranza, l’uguaglianza e il perdono. Siamo davanti ad un’occasione nuova: tornare a parlare dei bambini e dei ragazzi, di rimetterli al centro delle scelte politiche, sociali, pastorali, di dar loro piena dignità, di renderli protagonisti attivi del nostro Paese.
don Alessandro Maffiolini