Non sono solo le parole “fratello, sorella, l’altro” che hanno perso la loro forza. Oggi anche il senso della comunità è in gravissimo pericolo: dalla tecnica, dalla scienza, dall’economia, dalla cultura, siamo sempre più orientati a pensare al singolo individuo. In questo modo “perdendo il senso della comunità, la società perde pure il suo serbatoio di senso, la sua capacità di trascendenza”, quel “posto vuoto” che permette di eliminare gli interessi personali o di gruppo e porta a occuparsi della dimensione comunitaria e pubblica. Molte volte abbiamo assunto una logica errata che riduce tutto al semplice bisogno e alla convinzione di bastare a se stessi con l’inutilità delle altre persone per la nostra vita e felicità. Non è sufficiente neanche che il nostro mondo possa giungere ai nostri familiari o conoscenti. Un autore contemporaneo ha affermato: “La comunità è un po’ come lo strato di ozono che tutela il nostro pianeta dall’impatto diretto con la forza devastante dei raggi ultravioletti provenienti dal sole. Se si crea un buco in questa superficie protettiva, la Terra corre dei rischi, in particolare la sterilizzazione di svariate forme di vita. Allo stesso modo, l’esistenza di comunità come campo discorsivo e contenitore di narrazioni collettive, come serbatoio affettivo e riserva di valori condivisi, come termometro della coscienza civile dei cittadini, rappresenta una garanzia per la qualità umana della vita sociale”. È necessario recuperare la comunità e impegnarci tutti a tenere aperte ogni strada per far crescere la comunità stessa. In una sua recente enciclica, anche papa Francesco ci indica questa strada. “Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio”. Solo così le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in più grandi occasioni d’incontro e di solidarietà tra tutti. Questo porta speranza e liberazione: più usciamo da noi stessi, più ci “uniamo” agli altri per costruire una comunità di amore. È una sfida vera e propria. Con i mezzi di comunicazione potenti che legano persone anche a migliaia di chilometri di distanza, abbiamo difficoltà a superare la logica dell’individualismo e dell’autosufficienza. “Urge, dice papa Francesco, un salto, un passo non calcolato, una caparra di fiducia, un’intuizione anticipatrice, una visione da lontano, una prospettiva non meramente calcolante: un atteggiamento mistico”. La crisi che viviamo, può quindi essere guarita se guardiamo “alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono”. Abbiamo quindi tutti necessità che le associazioni, i movimenti, le parrocchie riscoprano la loro vocazione ad essere luogo dell’accoglienza, della parola, del dialogo autentico e fraterno. Questo per permettere di riappropriarsi della comunione, dell’ospitalità e del riconoscimento di essere fratelli e sorelle in Cristo. Se il compito dei cristiani è di diffondere quella gioia del Vangelo che sempre nasce e rinasce nell’incontro con Gesù e se il principale ostacolo all’accoglienza di questa gioia è l’individualismo diffuso e triste che oggi domina, allora la missione dei cristiani deve partire da quella di diventare sempre di più tessitori di fraternità.
don Alessandro Maffiolini