Tra i molti preti che sono criticati nonostante cerchino di camminare sulla via del Vangelo, desideriamo tratteggiare alcune pennellate della vita di don Roberto Malgesini, della diocesi di Como, di cinquantuno anni. Era un prete, uno di quelli che fa capire cos’è una vita riuscita, piena. Un uomo giusto al posto giusto, dopo averlo a lungo cercato, e con tale chiarezza interiore e umile determinazione da far intuire infine anche ai più duri di cuore che cos’è una vocazione. Il cardinal Bassetti ricorda: “Don Roberto è un martire del nostro tempo. Un tempo dove regna l’apparenza, la superficialità e l’individualismo, ma in cui c’è spazio anche per i figli di Dio. Per tutta la sua vita Roberto è stato il Buon Samaritano della porta accanto e ha incarnato il Vangelo senza glosse”. Inoltre non va dimenticato che “ha speso tutto se stesso, fino a effondere il suo sangue, per Cristo che ha visto nei “crocifissi” di oggi. Il sacrificio di don Roberto ci ricorda che la promozione umana è tutt’una con il Vangelo e che la vita va difesa, accudita, accompagnata in ogni frangente e in mezzo alle fragilità fisiche, sociali, materiali: dal concepimento alla sua naturale conclusione”. È stato veramente un prete modello. Era tutti i giorni atteso. Ogni sera diversi fornai e pasticcieri della città consegnavano l’invenduto per permettere a don Roberto di portarlo il mattino successivo a chi vive di niente e spera tutto. Il suo giro quotidiano partiva all’alba, “perché per strada ci si alza con i primi rumori urbani”. E raccontano quanti l’hanno conosciuto: “Quel turno di servizio per lui arrivava dopo una sveglia all’aurora per stringersi in intimità con Dio adorandolo presente nel tabernacolo della sua chiesa, un dialogo solitario, lungo e silenzioso, che ora comprendiamo meglio quanto fosse essenziale”. E per diversi cristiani l’eucaristia e i preti sono inutili e superflui. È la preghiera il motore. È la fonte di ogni azione pastorale e sociale. “I santi ci insegnano che davanti all’Eucaristia e alla Parola di Dio prende forma ogni gesto, piccolo o grande che sia”. La voce più forte non è quella di chi grida di più: la voce più forte è della preghiera. E da qui scaturisce il desiderio di fare il bene. Inoltre don Roberto non è scappato davanti alle tante croci dei fratelli, non ha fatto pomposi discorsi teologici sui poveri, non li ha distinti tra buoni e meno buoni, tra cristiani o di altre confessioni, ma si è speso in totale umiltà, senza clamore e senza riconoscimenti di sorta. Amava agire in sordina, quasi di nascosto, in piena discrezione. E quanti sacerdoti che non “vediamo” neanche agiscono così: preferiscono dire che gli altri sono più sapienti, sono più esperti, sono migliori, sono quelli da cui andare a confessarsi e parlare… Noi certo mettiamo da parte i primi e lodiamo i secondi. E strappiamo una pagina di Vangelo. All’interno del clima disumano che in questo periodo spesso respiriamo, don Roberto, infine, ci aiuta a riflettere sul “segno vivo della tenerezza di Dio padre, che vuole fare della Chiesa del suo Figlio un ambiente di misericordia, dei figli della Chiesa degli umili suoi banditori e del mondo un luogo dove tutti si riconoscono fratelli”. Possa il sacrificio di don Roberto e di altri preti, far smettere di criticare i preti e possa contribuire a promuovere quella cultura della misericordia, dell’accoglienza e dell’umiltà di cui il mondo e le comunità cristiane di oggi hanno così tanto bisogno.
don Alessandro Maffiolini