Caro lettore, cara lettrice, caro amico,
alcune volte è difficile trovare le parole adatte specialmente in un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui la paura sembra dominare la nostra esistenza. I numeri, se guardiamo bene, sono impressionanti, anche perché tra quei numeri c’è sempre qualcuno che conosco e che magari ho incontrato sulla mia strada fino a qualche settimana fa. La realtà della morte e della sofferenza che abbiamo cercato con forza di relegare in un angolo della nostra vita, sono diventate vicine e interessano le persone che mi sono care e le presenze quotidiane negli ambienti del lavoro, del riposo. Ogni volta che si sente parlare di un ricovero, si è subito indotti a pensare che l’esito sia fatale. E così ogni volta che avvertiamo un malessere, una tosse che non guarisce, un brivido di paura e di smarrimento percorre la schiena. “La morte vicina suscita domande che sono più ferite che questioni da discutere”. Addirittura, per diverse persone, in questo mondo legato al guadagno e al successo, “quando irrompe il nemico che blocca tutto, che paralizza la città, che entra in casa con quella febbre che non vuol passare, allora le certezze vacillano, e il verdetto del termometro diventa più importante dell’indice della Borsa”. Ammetto con onestà: è difficile riconoscere la presenza del Risorto, riconoscere la sua potenza che salva per vie che le attese umane non possono prescrivere, lasciarsi avvolgere dalla sua gloria, così diversa da come la immaginano io e tante altre persone. È più semplice dire e ripetere sempre come Tommaso: “Non credo se”. Siamo chiamati a entrare con fede più semplice e più sapiente nella promessa di Gesù della vita eterna. Eppure Dio non è muto davanti al dolore disumano dell’uomo, ma ci parla e ci dice: “Io, Gesù, il figlio innocente di Dio e dell’uomo, io per primo ho sofferto, ho pianto, ho urlato il mio dolore, sono morto, e nel mistero della mia Croce sono riposti il segreto e il senso di ogni croce, di ogni grido di dolore, di ogni morte”. In questo modo Dio pone in noi una risposta e la risposta consiste proprio nell’esempio vivo di Gesù di Nazareth. Lui fa proprio il dolore dell’uomo, anche il più infamante e insopportabile, il dolore più “ingiusto”. L’amore di Dio donato a noi e condiviso con gli altri ha la possibilità di vincere il dolore e sconfigge la morte. Ecco che il coronavirus ci ha reso coscienti che siamo tutti sulla stessa barca e il mondo non sarà più lo stesso. Anzi è l’occasione “in cui troveremo la volontà e la forza di costruite un mondo nuovo. Cambieranno necessariamente i comportamenti individuali, il nostro modo di vivere, di pensare al lavoro, alla famiglia, alla politica, all’economia. Abbiamo la possibilità di tornare all’essenziale”. E la Risurrezione ci indica ciò che è essenziale. Ha abbattuto tutte le barriere e le distinzioni e ci ha ricordato di essere fratelli e sorelle. Ecco che è possibile per me, per noi, per ogni persona guardare al domani con maggior fiducia e assicurarci un futuro di speranza. “Sarà Pasqua se potremo respirare a pieni polmoni, guardare al domani con fiducia, assicurare un futuro di speranza ai giovani. Eppure, non siamo più come un tempo, quando coloro che venivano travolti da una epidemia erano senza difesa”. Noi oggi abbiamo quello che è utile: la scienza, i mezzi, le persone capaci. Ci manca la volontà di metterci insieme, di camminare uniti. Abbiamo la necessità urgente, allora, di una vera Pasqua che ci liberi dall’individualismo per sentirci figli di un unico Padre che ci ama e ci accompagna sempre.
Vostro don Alessandro Maffiolini