La storia di Caino e Abele. Nel commento alle pagine del giorno il Papa si è riferito alla prima lettura, tratta dal libro della Genesi (4, 1-15.25): ha fatto notare che è la prima volta che nella Bibbia si dice la parola ‘fratello’. Caino e Abele, ha spiegato, rappresentano “la storia di una fratellanza che doveva crescere, essere bella” e che però alla fine è stata distrutta. L’inizio è una gelosia: Caino, quando vide che il suo sacrificio non era stato accettato, fu molto irritato e “incominciò a cuocere quel sentimento dentro”. Anche se Dio come Padre gli aveva parlato, alla fine Caino preferì l’istinto, preferì “lasciar cuocere dentro di sé questo sentimento, ingrandirlo, lasciarlo crescere. Questo peccato che commetterà poi, che è accovacciato dietro il sentimento, cresce”. Allo stesso modo, ha affermato il Papa, crescono le inimicizie: “cominciano con una piccola cosa, una gelosia, un’invidia e poi questo cresce e noi vediamo la vita soltanto da quel punto e quella pagliuzza diventa per noi una trave; ma la trave l’abbiamo noi, è là”. La nostra vita gira poi intorno a questo sentimento che distrugge la fraternità e la comunione: ci distacchiamo dai nostri fratelli, avveleniamo le relazioni con gli altri che diventano dei nemici da cacciare e da distruggere. Esistiamo solo noi. Invece, ricorda il Papa, noi siamo custodi dei nostri fratelli.
Alcune volte diciamo di non aver mai ucciso una persona; il Pontefice ricorda però che “se tu hai un sentimento cattivo verso tuo fratello, lo hai ucciso; se tu insulti tuo fratello, lo hai ucciso nel tuo cuore”; perché “l’uccisione è un processo che incomincia dal piccolo”. Oggi a tutti Dio domanda “Dov’è tuo fratello, dov’è tua sorella?”. Pensiamo “a tutti questi che abbiamo staccato, a tutti questi dei quali sparliamo quando ci incontriamo, o distruggiamo con la lingua”. E “pensiamo anche a tutti quelli che nel mondo sono trattati come cose e non come fratelli, perché è più importante un pezzo di terra che il legame della fratellanza”.
Agnelli o lupi? Francesco parte dalla domanda su come debba essere la personalità di un inviato a proclamare la Parola di Dio. Emergono tre caratteristiche. Innanzitutto la Parola di Dio si deve portare “con franchezza, cioè apertamente; anche con forza, con coraggio”. Questo affinché penetri, come dice lo stesso Paolo, fino alle ossa. Può accadere, infatti, che la persona che non ha coraggio, che “non è innamorata di Gesù, dirà, sì, qualcosa di interessante, qualcosa di morale, qualcosa che farà bene, un bene filantropico”, ma in lui non si troverà la Parola di Dio.
La seconda caratteristica dell’inviato emerge quando la Parola è “proclamata con la preghiera”. Infatti, “senza preghiera, tu potrai fare una bella conferenza, una bella istruzione, buona, ma non è la Parola di Dio. Soltanto da un cuore in preghiera può uscire la Parola di Dio”.
Il terzo tratto emerge nel Vangelo, quando Gesù dice di mandarci come agnelli in mezzo ai lupi. Il vero predicatore “è quello che si sa debole, che sa che non può difendersi da se stesso”; è chiamato a portare la Parola sempre e a farlo come ‘agnello’. Solo così Dio lo protegge e lo accompagna. Se lo si fa “come un agnello, sarà il Signore a difendere gli agnelli. I lupi non potranno. Forse ti toglieranno la vita, ma il tuo cuore rimarrà fedele al Signore”. Così, ha concluso il Papa, “è la missionarietà della Chiesa. Così si proclama la Parola di Dio. Così sono i grandi missionari, quelli che proclamano la parola non come cosa propria, ma con il coraggio, con la franchezza che viene da Dio”. Ci si sente poca cosa e si prega: i grandi annunciatori della Parola sono uomini coraggiosi, di preghiera e umili. Infatti, “lo stesso Gesù ce lo dice: quando voi avrete fatto tutto questo, dite ‘Sono servo inutile’”.
Questo perché si sente la forza della Parola, quella che porta avanti il regno di Dio.
A cura di Alessandro Maffiolini