Dobbiamo notare con vivo rammarico che, nonostante l’attenzione riservata negli ultimi due decenni al tema della comunione, in Italia è andata aumentando sempre più la tendenza a comportamenti individualistici, nei quali l’unico centro è l’individuo e i suoi desideri. “Individualista è chi rifiuta di pensarsi all’interno di un gruppo, non creando relazioni e legami né sentendosi parte di un tutto”. L’individualismo è un potente ‘virus’ capace di insinuarsi anche all’interno della comunità ecclesiale che, per definizione e nascita, è il luogo dell’altruismo, dell’accoglienza e del sostegno a chi è nel bisogno. In essa le persone si sentono parte di un gruppo molto vasto, di una comunità che non può fare a meno del loro sostegno, della loro collaborazione e aiuto. Da un lato esiste il forte rischio, presente anche nel nostro territorio, di considerare la Chiesa come un’agenzia che eroga prettamente servizi, una sorta di enorme supermercato cui accostarsi in base ai bisogni del momento, senza sentirsi corresponsabili della sua vita e della sua crescita. Sorgono quindi una serie di problemi quando si cerca di far comprendere come questo modo di agire riduca la possibilità della comunità e non permetta di crescere. Anzi, deturpi la comunità stessa e la renda un mero gruppo senza alcuno scopo.
Dall’altro lato, è diffusa la tentazione di identificarsi con la propria comunità o con il proprio gruppo senza maturare un senso di appartenenza ecclesiale più ampio, non riuscendo a percepire come propri i problemi e gli obiettivi della Chiesa intera. Tante volte pensiamo solo al nostro, ci scandalizziamo se le persone non vengono al ‘nostro’ gruppo o vi si oppongono, senza avere il buon senso di alzare lo sguardo e comprendere come siano la comunità e la comunione a rischiare di essere distrutte. Demolita la comunione, non rimane niente se non un gruppo informe e macerie che non servono più a nulla se non a essere buttate via. E questo è il rischio anche di Trecate e di ogni città o paese. Siamo pronti a compiere battaglie, criticare, dividerci, distruggere la reputazione degli altri (laici o preti che siano), pur di salvaguardare la nostra tranquillità e la volontà di continuare a non impegnarci nella comunità. Alla fine è come se volessimo una comunità cristiana schiava delle nostre passioni e dei nostri sentimenti. Manca proprio il sentirsi parte di una realtà più ampia.
Il Concilio Vaticano II ricorda con schiettezza che la Chiesa è un’esperienza di comunione, che “riconosce a tutti i Battezzati che la compongono una vera uguaglianza nella dignità e chiede loro l’impegno alla corresponsabilità e alla condivisione delle risorse”. È, cioè, una Chiesa che vuole vivere e testimoniare la povertà evangelica, non perché rinuncia alle risorse materiali, ma perché non tiene nulla per sé e tutto rimette in circolazione, ridistribuendolo, moltiplicato, a chi è nel bisogno. Solo se ogni cristiano ricomincia a sentirsi impegnato in prima persona nella comunità, non guarda agli errori degli altri, ma sviluppa tutte le sue potenzialità che possono far crescere gli altri e la comunità intera, la Chiesa diventa credibile. È di moda attaccare la Chiesa senza capire che essa è composta di tanti mattoni: questi si chiamano ‘cristiani’, laici o preti, ma tutti cristiani. La Chiesa sbaglia perché i cristiani sbagliano. Spesso sottraggono le risorse delle proprie qualità, idee, doti alla comunità intera e, alla fine, anche a se stessi. Dobbiamo, con l’impegno di tutti, far sì che questa ispirazione resti viva, diventando sempre più un tratto caratterizzante anche la comunità ecclesiale di Trecate, per testimoniare al mondo la presenza di Cristo nella nostra vita e nelle nostre scelte quotidiane.
Alessandro Maffiolini