Con la legge 211 del 20 luglio 2000, La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, come “Giorno della Memoria”, con lo scopo “di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. Fanno tremare i polsi queste poche righe: in uno stato in cui la maggioranza si professava cristiana, come si è potuto arrivare a organizzare e mettere in pratica simili cose? Una domanda cui molti hanno cercato di dare una risposta, ma cui è difficile dire perché queste cose continuano ancora oggi, magari in forme un po’ differenti. Caro lettore, dobbiamo proprio fare “la memoria della memoria”. Questo permette di evitare il rischio che la memoria sia solo un riportare alla luce informazioni pregiate che il tempo o la volontà avrebbero occultato. La memoria è anche questo, ma deve andare oltre per trasformarsi in uno strumento per capire e per rispondere alle sollecitazioni del presente. Edith Stein, in una sua lettera, scrive: “Questo boicottaggio, che nega alle persone la possibilità di svolgere attività economiche, la dignità di cittadini e la patria ha indotto molti al suicidio. Sono convinta che si tratta di un fenomeno generale che provocherà molte altre vittime. Ma se la responsabilità in gran parte ricade su coloro che li hanno spinti a tale gesto, essa ricade anche su coloro che tacciono”. È facile dire in coro: “Mai più” e poi non fare nulla perché il mondo non cambi e diventi realmente un luogo accogliente per tutti e dove tutti hanno la possibilità di una vita dignitosa. Il 27 Gennaio del 1945 l’esercito sovietico oltrepassava i cancelli di Auschwitz, il più grande dei campi di concentramento costruiti dai nazisti nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Aprendo gli occhi a un mondo che non aveva visto, costringendo alla realtà dei fatti tutti coloro che sapevano e avevano taciuto, portando i responsabili materiali del più grande omicidio di massa di sempre dinnanzi al tribunale degli uomini e della Storia. Ora come sono questi occhi? A chi sono rivolti? Sono ancora chiusi a quanto è accaduto o sta avvenendo nel mondo? Oggi, il nemico contro cui lottare non è soltanto l’odio, in tutte le sue forme: in profondità esso è l’indifferenza, che ha la capacità di paralizzare e impedire di compiere quel che è giusto. In questa epoca in cui siamo tutti connessi, essa è un virus che contagia ogni essere umano, perché è più facile prestare attenzione unicamente a noi stessi che agli altri. A molte persone, a quasi settantacinque anni dalla fine della Guerra Mondiale, importa ancora poco del fratello e si chiudono in se stessi costruendo barriere e muri. Ancora oggi questo porta alla disperazione e al silenzio. Pensare alla giornata della memoria conduce a “un silenzio inquietante che lascia spazio solo alle lacrime, alla preghiera e alla richiesta di perdono”. Per costruire la nostra storia abbiamo bisogno di una memoria comune, viva e fiduciosa, che non rimanga imprigionata nel risentimento ma, “pur attraversata dalla notte del dolore, si dischiuda alla speranza di un’alba nuova”. Come cristiani desideriamo tendere la mano, camminare sempre insieme e opporci a ogni manifestazione di odio, di discriminazione e di divisione.
don Alessandro Maffiolini