Es 34,4-9/ 2Cor 13,11-13/ Gv 3,16-18
Chi è Dio
Esiste Dio? Davvero? E com’è? Che fa? Che dice? Che vuole? Certo, possiamo vivere in apnea tutta la vita, evitare di porci grandi domande. Vivere come se il problema non ci riguardasse. Solo che la domanda, il dubbio, strattonano, assalgono, feriscono. Come quando qualcuno usa Dio come una clava, per fare del male, per uccidere, anche, pensando di rendergli gloria (!). O come quelli che usano Dio come una coperta che copre tutto, giustifica tutto. Come un analgesico che fa stare meglio e aiuta a superare i troppi dolori. Ingombra Dio, che ci sia o non ci sia non è la stessa cosa. La vita cambia, l’orizzonte cambia, la speranza cambia. Dare un volto a Dio, attribuirgli una volontà, un progetto, ha a che fare, e tanto, con le nostre scelte. L’orizzonte ultimo che ispira la nostra vita non è una bazzecola. Prendersi del tempo per guardarsi dentro, per lasciar emergere la propria anima, è un dono che ci facciamo. Alla fine del tempo pasquale, pieni di Spirito Santo, possiamo sederci e parlare di Dio. Di quel Dio inatteso, strano, stupefacente, che Gesù è venuto a donare. Quel Dio in cui osiamo credere.
Il solitario
Dio è la somma del bene, del bello e del giusto. La somma della perfezione. A questo altri approcci, altri percorsi, altre religioni sono giunte. E la realtà, l’esistente, il mondo e le sue implicazioni o anelano a quella perfezione, o ne traggono forza, o ne compartecipano l’energia. La tradizione biblica, condivisa in parte da ebrei, cristiani e musulmani, giunge a determinare l’esistenza di un Dio personale che interagisce, che crea relazione, che vuole intessere rapporti con le sue creature. Non è facile crederci, non è evidente. In noi portiamo un’immagine tenebrosa di Dio, inquietante. Dio si racconta a Mosè e al popolo di Israele. Un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà. Un Dio che fa di noi la sua eredità. Questa prima conversione, da un dio tenebroso e vendicativo, che vive, esasperandole, le nostre emozioni e le nostre paure, le nostre rabbie e le nostre ambizioni, ad un Dio compassionevole e benevolo, è un gigantesco salto cui sono giunte molte esperienze religiose. Dio è uno, unico, eterno, onnipotente, onnipresente. Ma solo. Il sommo egoista bastante a se stesso. Da riverire e temere. Da invocare e blandire. O no?
L’Amante
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna, dice Gesù a Nicodemo. No, dice, Gesù, Dio non è chiuso nella sua perfezione, ma si relaziona, si dona, si dice, si offre. E lo fa attraverso un dono: suo Figlio. Gesù non è solo un grande uomo, un profeta carismatico, un combattente coerente e intenso. È di più la resurrezione che abbiamo celebrato ci svela la sua identità profonda. Più di un profeta, più del Messia, Dio stesso. L’uomo Gesù inabitato dal Verbo di Dio che parla di Dio in maniera inattesa e nuova, intima e assoluta. E Gesù parla del Padre, perché lui e il Padre sono una cosa sola. Svela il volto di un Dio che non condanna, che non fa il giudice supremo ma che vuole la salvezza, cioè la felicità piena, per ogni uomo. L’idea di Dio che ci eravamo fatti viene cesellata, rifinita, compiuta. Io credo nel Dio che Gesù è venuto a raccontare.
Ancora
Ma non è finita. L’amore intenso e immenso che lega Dio padre/madre al figlio/figlia è talmente forte da essere, a sua volta, una presenza divina, una persona divina. Lo Spirito che abbiamo ricevuto è l’amore che lega il Padre al Figlio. Come scrive Paolo nelle sue lettere la grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo dimorano in noi. Grazia, amore, comunione. Ecco Dio. Padre, figlio e Spirito Santo. Una famiglia, una relazione, un insieme. Così uniti che, da fuori, vediamo un’unità. Uno solo. Perché chi si ama si unisce senza fondersi, senza omologarsi, senza scomparire l’uno nell’altro. L’ultimo tassello si rivela. Quel Dio somma di ogni perfezione che entra in contatto con l’umanità è festa. Danza. Relazione. Comunicazione. E noi siamo a sua immagine, cioè creati a immagine della Trinità. Inutile illudersi di fare tutto da soli. O di essere autosufficienti. Se siamo immagine di Dio siamo spinti alla comunione. Quand’ero bambino, a catechismo, il parroco tentava di spiegarci chi era Dio e, nella sua somma ingenuità, scriveva alla lavagna 1+1+1=1 creando una gran bella confusione nelle nostre testoline intatte. Ho dovuto crescere e conoscere, fidarmi e indagare, diventare discepolo per capire che, invece 1x1x1=1. Dio è uno perché i tre sono gli uni per gli altri.