“Niente sarà più come prima”. Una frase sentita molte volte durante la pandemia di Covid-19 e detta con la speranza che tutto potesse ritornare come prima. Profezia e testimonianza, proprie del mandato missionario a ogni battezzato, chiedono di coinvolgersi in una responsabile azione pastorale, col tentativo di accogliere, discernere e impegnarsi nei confronti del “nuovo” che questo tempo porta con sé. Eppure, mai come oggi, rispetto agli ultimi decenni, ci è dato di toccare la marginalità della Chiesa e, prima ancora, l’espressione comunitaria della vita di fede delle persone.

Oggi abbiamo la possibilità di rendere realtà un sogno pastorale coltivato da tempo: andare al nuovo stile pastorale. “Dal bisogno di alleggerire la nostra “obesità pastorale”, all’esigenza di riconsegnare l’essenziale, anche dell’annuncio, al ripensare il cammino formativo alla vita cristiana, a come costruire comunità a misura del Vangelo, a un rinnovato stile nelle relazioni, a un ripensare le figure ministeriali, non da ultima quella dei presbiteri, a recuperare una qualità celebrativa, a maturare spazi reali di prossimità alle ferite della vita”. Un virus è stato sufficiente a bloccare tutto e a consegnarci nuove opportunità che, senza attendere, vanno accolte o rifiutate. Certo intraprendere la strada del “nuovo del Vangelo” può spaventare e rischia di essere un cammino lungo: è necessario però percorrerlo nella certezza che lo Spirito Santo guida la Chiesa e i figli di Dio. Lasciamoci educare da questo tempo: esso può permetterci di attingere e consegnare al mondo le parole di Vangelo più udibili perché più comprensibili e credibili.

Siamo chiamati a essere testimoni e profeti; tra questi due esiste una relazione stretta. “Il profeta, in quanto testimone, e il testimone, in quanto profeta, non è un sognatore, anche se i sogni gli appartengono, ma è fondamentalmente il narratore di una esperienza che lo ha toccato in profondità, e che lo ha sorpreso, disorientato, fino a cambiare radicalmente il suo modo di guardare Dio, gli altri, se stesso”. Dobbiamo diventare tutti sempre più persone capaci di tenerezza, ma anche di gridare; “di abitare il deserto, ma anche di addentrarsi nelle città; di stare davanti al Signore, ma anche in mezzo alla sua gente”. Non dobbiamo dare soluzioni. Il profeta e il testimone hanno il compito di attivare processi di cambiamento che investano ogni persona e il mondo intero.

Anche il Sinodo che inizia in questo mese missionario e ci accompagnerà per diverso tempo, ci richiama l’importanza di imparare dalla storia per capire il tempo presente e richiede persone disponibili a mettersi totalmente in gioco. Dobbiamo riconquistare uno sguardo aperto e pieno di passione per l’oggi; desiderosi di orientarsi verso il futuro che è dono di Dio. Sarebbe bello che tutti ci lasciassimo raggiungere da una Parola che ci interroga per cogliere i segni della presenza di Dio, una parola che può rivelare un’affascinante novità. La Parola di Dio, infatti, ci consegna un’esperienza che ha cambiato la vita stessa degli apostoli: “Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi”. È una Parola che, se compresa, ci svela un diverso modo di stare: “Non con il miracolo che libera, ma con il coraggio di affrontare e attraversare le situazioni”. Una Parola che ci permette di scoprire un Dio che cammina con noi e condivide le nostre fatiche. Un Dio Padre di tutti e che presente in tutti i suoi figli. In noi credenti è possibile scoprire le varietà che compongono il volto stesso di Dio, solo se assumiamo il coraggio di cambiare la vita e renderla pronta ad annunciare le meraviglie che Dio compie in ogni suo figlio.

don Alessandro Maffiolini