Dio non ci vuole “sterili”. Ha promesso che porteremo molto frutto, e il padre vignaiolo pota. Non nel senso che ci purifica dal male. Pota il tralcio che è già fruttuoso, perché porti più frutto. Perciò la potatura è un’azione di Dio per stimolarci e per concentrarci in ciò che facciamo e lasciare invece che perdiamo tutto quello che può distoglierci dalla vivere il Vangelo ogni giorno. Potare è un’arte e implica molto discernimento, perché è necessario scegliere bene tra i tralci. Il nostro Dio non fa solo cose nuove, fa anche nuove tutte le cose. E non dobbiamo essere ingenui a pensare che possiamo cambiare soltanto gli schemi e le cose andranno al posto. “Se cambieranno gli uomini e le donne che annunciano il Vangelo cambieranno anche le loro azioni pastorali”. La vera novità è nella mentalità dell’uomo nuovo, secondo lo Spirito. “E poi quell’uomo, quella donna missionari rinnovati possono rinnovare anche dei semplici gesti di attività pastorale, che dovremmo riuscire a rianimare innanzitutto della vitalità del Signore”. Per abitare nella vigna e quindi nel mondo non basta “navigare l’onda”: è forse qualcosa di più bello e richiede fantasia e creatività con una bella dose di collaborazione autentica. “Penso che anche la nostra pastorale potrebbe diventare un po’ di più così. E cioè uscire da una ripetitività che produciamo ogni anno, più o meno lo stesso schema pastorale dove dobbiamo poi costringere dentro le persone, le comunità, eccetera, e riuscire a inventare una pastorale più attenta al particolare, al personale. E perciò anche più creativa”. Inoltre, nella vigna è necessario saper aspettare con pazienza, perché i tempi non sono mai certi. Servire è anche sinonimo di attesa e di stare nella vita con gratuità, con libertà, con creatività, con fantasia, perdendo il tempo. È bello spendersi per gli altri. Anche la nostra pastorale forse dovrebbe essere un po’ meno un percorso a scadenza fissa e più un itinerario che conduce nella libertà a delle scelte di fede, che maturano poi con tempi anche lunghi. Bello sarebbe impostare una pastorale che accompagna nel tempo le persone a incontrare Cristo e a vivere il Vangelo. È opportuno essere sempre più tralcio attaccato alla “vite”. Questa è la cosa essenziale: per noi discepoli di Gesù c’è la necessità di “rimanere tralci della vite che egli è, di rimanere in Gesù (facendo rimanere in loro le sue parole) come lui rimane in loro”. Ovviamente rimanere non è solo restare, dimorare, ma significa essere comunicanti in e con Gesù a tal punto da poter vivere, per la stessa linfa, di una stessa vita. E non va dimenticato che, se anche la comunità a volte può diventare rigogliosa e fiorente, resta però sempre esposta al rischio di fare tante foglie e di non produrre frutto. Per questo è necessario che “nella vita dei credenti sia presente la parola di Dio con tutta la sua potenza e la sua signoria: la Parola che monda chiesa e comunità; la Parola che, come spada a doppio taglio, taglia il tralcio sterile, pota il tralcio rigoglioso e prepara una vendemmia abbondante e buona”. Allora, forza, cara comunità. Senza paura apri il cuore a Gesù, entra in comunione con Lui: saprai cosa tagliare e cosa far fruttificare. Noi siamo l’insieme di tutti i tralci che possono portare frutto solo se sono uniti al ceppo principale, alla radice. Il nostro compito di discepoli è quello di fare frutti buoni e fare frutti è possibile grazie all’unione con Gesù Cristo.
don Alessandro Maffiolini